Combattere la Tubercolosi: l’ospedale di Rajshahi porta speranza

Carissimi amici e sostenitori,

saluti cordiali dal Bangladesh! Vi spero bene.

Abdul Korim è un carpentiere e muratore proveniente da Sirajganj. Accusando ripetutamente forti dolori alla schiena, si è rivolto al medico locale che lo ha curato, senza fare particolari approfondimenti, con antidolorifici. Ovviamente i dolori scomparivano per tornare però di nuovo una volta interrotta l’assunzione di farmaci. A un certo punto il medico gli prescrisse alcuni esami diagnostici ma senza riscontrare nulla di significativo. Il dolore, intanto, era aumentato e diventato pressoché insopportabile, al punto da costringerlo a lasciare il lavoro e rimanere a casa. Recatosi nella città vicina di Bogra, la risonanza magnetica ha mostrato che egli soffriva di una forma di tubercolosi della colonna vertebrale.

Queste forme di tubercolosi fino a qualche anno fa in Italia si studiavano soltanto sui testi di medicina. Avendo infatti sconfitto la malattia grazie alla terapia antibiotica, raramente succedeva di trovare pazienti che soffrissero di tubercolosi extra polmonare. Con l’immigrazione di popolazioni dall’Africa e dell’Asia, dove gli europei avevano esportato la malattia, essa è ricomparsa anche da noi. Se poi la metà dei malati di tubercolosi soffre della variante polmonare, infettiva o meno, c’è anche la possibilità che il bacillo si localizzi nei linfonodi del collo, in quelli intestinali, oltre che in qualsiasi organo: dalle ossa della colonna vertebrale, al cervello.

Per fortuna Abdul ha trovato, grazie a padre Carlo Buzzi, un missionario del PIME proveniente da Milano e parroco di Gulta, modo di arrivare al Sick Shelter di Rajshahi, dove è stato curato adeguatamente. Come probabilmente sapete, infatti, molti dei pazienti che giungono a Rajshahi soffrono di forme complicate di tubercolosi. Non dunque la tubercolosi polmonare, ma quella extra-polmonare, che richiede particolare cura e tempi più lunghi per la guarigione. Il trattamento di Abdul è stato di ben due anni, con un recupero della funzionalità e una riduzione del dolore.

Questo tipo di pazienti può ricevere cure adeguate solo in una struttura come il centro di accoglienza degli ammalati di Rajshahi, provvedendo le strutture governative una terapia che non prevede il ricovero, ma l’assunzione di farmaci per sei mesi con la supervisione dei paramedici del centro di salute più vicino. I pazienti come Abdul, invece, hanno la possibilità di ricevere un trattamento più prolungato, come richiede la loro patologia, possono consultare gli specialisti ortopedici che, oltre a supervisionare la terapia antitubercolare, possono prescrivere altre cure per il dolore e la riabilitazione.

Amol Tudu, proveniente anch’egli dal nord ovest del Paese, ha diciotto anni ed è un parrocchiano di Bhutahara, dove ha lavorato per decenni p. Emilio Spinelli, un altro missionario del PIME ambrosiano deceduto recentemente a Rancio di Lecco. Questo giovane aveva tosse, febbre e spesso soffriva di vomito e di dolori addominali che lo hanno portato a non assumere più cibo fino a diventare quasi anoressico. I sintomi sono continuati per ben tre mesi. Il medico del villaggio dava farmaci che riducevano i sintomi che però si ripresentavano regolarmente.

Ad un certo punto Amol ha notato una piccola ghiandola nel collo. La famiglia, appartenente ad una tribù indigena, lo ha dunque portato dal medico-stregone locale che lo ha curato con rimedi erbali ma senza ottenere alcun risultato. Alla fine il giovane, tramite la lettera del parroco locale, è stato inviato al centro di accoglienza di Rajshahi, che lo ha ricoverato all’ospedale universitario della città. Dopo approfonditi esami medici gli è stato riscontrato una tubercolosi sia polmonare, per di più infettiva, oltre che ghiandolare nella zona del collo.

Come di prassi, il paziente è stato riferito all’ospedale per i malati di tubercolosi della città sotto la supervisione del centro di accoglienza degli ammalati. Amol aveva un’infezione tubercolotica a livello dei polmoni, ma il ritardo con cui si è diagnosticata la malattia ha fatto sì che essa si propagasse ai linfonodi del collo. A volte, come nel suo caso, essendo i linfonodi molto voluminosi, è stata richiesta una incisione chirurgica per drenare il pus accumulato e favorire il processo di guarigione. Ora sta meglio ed è in via di guarigione, grazie all’intervento e alla terapia antibiotica che sta facendo effetto.

Durante lo scorso anno 182 pazienti hanno ricevuto il trattamento antitubercolare tramite il centro di accoglienza degli ammalati. Nonostante lo sforzo a livello nazionale per contenere la malattia, infatti, il numero dei pazienti che soffrono di tubercolosi sembra aumentare. La ragione è che il governo, oltre che curare le persone affette da tubercolosi si preoccupa di eliminare la sorgente di infezione, ovvero coloro che, oltre ad essere ammalati di tubercolosi polmonare, sono anche infettivi, causando così la diffusione della malattia.

Come i casi citati di sopra testimoniano, i pazienti ammessi al centro di Rajshahi sono soprattutto malati che soffrono di forme di tubercolosi extra-polmonari e che richiedono anche interventi specialistici, come nei casi di tubercolosi ghiandolare, ossea, ecc. Tali pazienti, inoltre, richiedono un ricovero in una struttura spesso per periodi di tempo molto lunghi.

Tutti i pazienti che arrivano attraverso i parroci al centro di Rajshahi sono ammessi inizialmente alla sezione generale del centro. Accompagnati dai paramedici e dalle infermiere nei vari reparti dell’ospedale universitario della città, dopo aver fatto diagnosi di tubercolosi sono inviati alla sezione per i malati di tubercolosi o all’ospedale pubblico. Tanto per dare un’idea del traffico di pazienti nella sezione generale del centro, nel 2022, 1391 pazienti provenienti soprattutto dal nord ovest del Paese, sono stati ammessi in questa sezione. In generale il numero di pazienti che soffrono di malattie croniche e in particolare di cancro è significativamente aumentato.

Il centro per l’accoglienza degli ammalati di Rajshahi, nonostante la graduale diminuzione dei missionari del PIME che operano nelle diocesi di Rajshahi e Dinajpur, continua a svolgere un ruolo decisivo per tanti ammalati di tutte le comunità soprattutto poveri che altrimenti non potrebbero ricevere cure adeguate. Le suore che operano nelle due sezioni del centro e la superiora Sr. Suborna, con il loro servizio continuano a testimoniare la vicinanza di Dio nella vita di tante persone.

A nome loro, a nome del personale e dei malati ricoverati al centro, non mi rimane che ringraziare tutti voi per il vostro fattivo contributo per questi malati.

Padre Francesco Rapacioli

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